In Slovacchia, l’etnia Rom è la terza più numerosa del paese. C’è una comunità Rom alla periferia di ogni città, di ogni centro abitato.
Vivono completamente isolati, in campi che sembrano fortezze impenetrabili anche se sono fatti di lamiera, di legno, di teli di plastica e materiale di recupero.
L’idea dell’impenetrabilità delle barriere di filo spinato e dei muri in mattoni di cemento.
La loro presenza, numerosa, pericolosa e scomoda, li relega in pezzi di terra concessi dallo stato.
Il governo passa dei sussidi, che sono quantificati in base al numero dei figli. Ma la preoccupazione principale è di renderli sempre più inavvicinabili, sempre più irraggiungibili. Ghettizzandoli.
I semplici servizi di pubblica utilità…la posta, la farmacia, un ambulatorio, non esistono. In uno solo dei villaggi, a Svinia, c’è la stazione di polizia. Serve solo per controllare, perchè, qui, i regolamenti di conti sono la normalità quotidiana.
I capi hanno una casa in muratura, gli altri vivono in baracche costruite con tutto quello che può essere utile e va bene per coprire, per rattoppare, per isolare.
Non ci sono fognature, né un sistema organizzato di raccolta dei rifiuti. Le strade sono terra, che diventa una palude fangosa dopo ogni pioggia. Intorno alle baracche, viene buttato tutto quello che non serve. Gli animali mangiano tutto quello che è commestibile e, talvolta, provano a masticare anche il resto.
Quando fa caldo l’odore della putrefazione è forte. Marciscono le immondizie
deperibili, marciscono le interiora, la pelle, il sangue degli animali macellati, gli avanzi di cibo, i pannolini e gli assorbenti. Con il freddo invece, tutto rimane lì, per terra.
Ci sono anche piccoli orti e giardini. La bellezza delle verze e di qualche fiore non ancora morto di freddo, contrapposta alla fatiscenza delle case che, comunque, riescono a stare in piedi.
Al di là dei muri e delle barriere, ci sono campi e prati.
Vivono tutti tra la porta di casa sempre aperta e la strada. L’interno delle case è curato, l’arredamento colorato, come se lo avessero scelto i bambini, per giocare.
E sono gli occhi dei bambini, sorridenti e vivaci a smorzare la tensione che rende l’atmosfera tesa, per lo straniero che è lì, solo di passaggio. La loro allegria e spensieratezza sono una speranza nella solitudine infinita di questi villaggi.
Le donne, di qualsiasi età, sembrano essere tutte gravide. Escono dalle case, si appoggiano allo stipite della porta o sono sedute un po’ sguaiate sui gradini di legno che separano la casa dalla fogna a cielo aperto che scorre libera, camminano sulla strada, sporca e melmosa, trascinando ciabatte consumate e sbiadite. Hanno tutte la pancia. Nonostante la sterilizzazione forzata, la natalità è altissima lo stesso.
I Rom sono una zavorra per lo stato, anche se la loro storia e le loro origini lontane li rende un popolo affascinante.
Dedico queste immagini ai bambini che ho incontrato, ai loro occhi, ai loro sorrisi. Che a loro, almeno, sia concessa la speranza di un futuro migliore.